In questa pagina i docenti e gli studenti del Corso di Studi in Ingegneria Nucleare trattano alcuni temi di attualità collegati alle discipline nucleari, rispondendo a domande e mettendo a disposizione materiali per la comprensione e l’approfondimento. L’iniziativa è rivolta agli studenti interessati all’ingegneria nucleare, ma anche all’opinione pubblica e al settore dell’informazione e della comunicazione.
L’utilizzo della radioattività, delle reazioni nucleari e delle loro proprietà porta alla produzione di materiali radioattivi che, quando non possono essere più utilizzati, diventano rifiuti radioattivi. Read More
La radioattività è il fenomeno fisico attraverso cui alcuni nuclei atomici, detti radionuclidi, si trasformano spontaneamente (“decadono”) in nuclei atomici più stabili, emettendo le così dette radiazioni ionizzanti. Il processo avviene dopo un tempo caratteristico, che corrisponde alla vita media del radionuclide. In una reazione nucleare, due nuclei interagisco dando luogo alla produzione di altri nuclei e radionuclidi. I radionuclidi esistono spontaneamente in natura oppure possono essere prodotti dall’uomo per determinati scopi. La radioattività, le reazioni nucleari e le loro proprietà, infatti, vengono utilizzate in numerosi settori: dalla medicina, all’industria, alla ricerca. L’utilizzo della radioattività e di reazioni nucleari porta alla produzione di materiali radioattivi che, quando non possono essere più utilizzati, diventano rifiuti radioattivi. I materiali e, dunque i rifiuti, radioattivi emettono radiazioni ionizzanti e per questo devono essere gestiti in maniera adeguata a evitare rischi per l’uomo e per l’ambiente.
Chi li produce in Italia?
Attualmente, in Italia diversi settori producono rifiuti radioattivi: i principali sono medicina, industria e ricerca. Inoltre, parte dei nostri rifiuti radioattivi deriva dall’esercizio e dallo smantellamento dei nostri impianti nucleari. Read More
Il settore sanitario produce rifiuti radioattivi nell’ambito della diagnostica, della terapia e della ricerca medica. Un esempio di rifiuti radioattivi legati a questo settore deriva dallo smantellamento di acceleratori di particelle utilizzati per la produzione di radiofarmaci e per la cura dei tumori. In diverse attività industriali, come ad esempio l’industria cartaria, alimentare, automobilistica e aeronautica, si utilizzano sorgenti radioattive, prevalentemente Cobalto 60 e Cesio 137. In quei settori le radiazioni sono impiegate per verificare le saldature e ricercare i difetti in componenti meccanici, per sterilizzare alimenti, per misurare spessori, per calibrare strumenti e per il bilanciamento di superfici mobili. Nei settori della ricerca biomolecolare, biologica, biomedica ed ambientale, si utilizzano materiali radioattivi, come li fosforo (P-32 e P-33), lo zolfo (S-35), il trizio (H-3), il carbonio (C-14) e lo iodio (I-123). Inoltre, in Italia abbiamo avuto 4 centrali elettronucleari in attività dagli anni ’60 fino al 1987 e quasi una ventina di reattori nucleari di ricerca, di cui 4 tuttora operativi. La fase di esercizio di questi reattori, così come il loro smantellamento, ha prodotto e produrrà rifiuti radioattivi.
I rifiuti radioattivi sono tutti uguali?
No, i rifiuti radioattivi vengono classificati in base alla loro attività: la classificazione distingue tra rifiuti radioattivi a bassa, media o alta attività. Read More
L’attività di un radionuclide è definita come il numero di decadimenti, cui una certa quantità di materiale contenente radionuclidi è soggetta nell’unità di tempo. L’attività dipende dalla vita media e dal numero di radionuclidi contenuto in una certa quantità di materiale e quindi decresce nel tempo. Per questo motivo, la strategia di gestione dei rifiuti radioattivi prevede il loro confinamento all’interno di barriere che schermino le radiazioni ionizzanti emesse, per un tempo sufficiente affinché l’attività raggiunga valori trascurabili rispetto al fondo di radioattività naturale. Questo deriva dai processi radioattivi e nucleari presenti in Natura e al quale tutti noi siamo costantemente esposti: ad essi si deve ad esempio la necessità di monitorare la concentrazione di Radon radioattivo in ambienti chiusi. In base all’attività di un certo materiale radioattivo, si distinguono rifiuti radioattivi a bassa, media o alta attività.In Italia, sono stati e continuano ad essere prodotti rifiuti radioattivi appartenenti a tutte e tre le categorie.
Dove sono custoditi attualmente i rifiuti radioattivi italiani e perchè vanno spostati?
In Italia, i rifiuti radioattivi a bassa e media attività sono attualmente stoccati in diversi depositi temporanei, la cui capienza è prossima a saturazione. Inoltre, i depositi temporanei non sono stati progettati per provvedere allo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi. La quasi totalità dei rifiuti italiani ad alta attività si trova invece all’estero, in attesa della disponibilità di una collocazione in Italia. Read More
I depositi temporanei per i rifiuti a bassa e molto bassa attività sono ospitati in circa una ventina di siti, distribuiti in diverse regioni italiane. Spesso si trovano in corrispondenza dei siti degli impianti nucleari disattivati, dove Sogin sta portando avanti le attività di mantenimento in sicurezza e decommissioning. Questi depositi sono strutture con una vita di progetto di circa 50 anni e progressivamente stanno esaurendo le loro capacità ricettive. Per poter ospitare i rifiuti che continuamente vengono prodotti in Italia, in assenza di un Deposito Nazionale, questi dovranno essere, oltre che costantemente mantenuti a norma, ampliati o raddoppiati.
Inoltre, nei prossimi anni, rientrerà in Italia i rifiuti ad alta attività derivanti dal combustibile utilizzato nei nostri impianti nucleari. Questo, attualmente, si trova in diversi paesi esteri (Francia, Belgio e Regno Unito) per il riprocessamento. Il riprocessamento del combustibile nucleare è un pro-cesso complesso che consente il recupero degli elementi fissili e fertili (uranio e plutonio), ancora largamente presenti nel combustibile esausto e che possono essere riutilizzati come combustibile all’interno delle centrali nucleari. I residui di questo processo di recupero, ovvero i prodotti di fissione e strutture metalliche degli elementi di combustibile, vengono compattati e/o incorporati in matrici vetrose (“condizionati”), per poter essere trasportati e stoccati a lungo termine. Questi residui costituiscono la quasi totalità di rifiuti radioattivi ad alta attività, la cui gestione compete al nostro paese. Una volta rientrati in Italia, dovranno essere stoccati in modo temporaneo ed in accordo con le normative internazionali, prima della realizzazione di un deposito geologico definitivo.
In accordo con le normative internazionali IAEA (International Atomic Energy Agency), per lo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi è necessario un deposito dotato di barriere ingegneristiche, che garantiscano l’isolamento dei rifiuti radioattivi dall’ambiente fino al decadimento della radioattività a livelli tali da risultare trascurabili per la salute dell’uomo e per l’ambiente.
Che cosa sarà il Deposito Nazionale?
Il Deposito Nazionale sarà un’infrastruttura di superficie che permetterà di sistemare definitivamente ed in modo sicuro i nostri rifiuti radioattivi. Read More
Questa struttura occuperà una superficie complessiva di 110 ettari e potrà ospitare fino a 78.000 metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa attività. All’interno del sito, verranno inoltre stoccati in modo temporaneo circa 17.000 metri cubi di rifiuti a media e alta attività, che dovranno essere successivamente trasferiti in un deposito idoneo alla loro sistemazione definitiva. Il Deposito Nazionale per i rifiuti a bassa attività sarà un’infrastruttura di superficie, mentre il deposito definitivo per i rifiuti a media ed alta attività dovrà essere un deposito geologico, situato ad una profondità di circa 500 m. Insieme al Deposito Nazionale verrà realizzato il Parco Tecnologico, centro di ricerca applicata e di formazione nel campo del decommissioning nucleare, della gestione dei rifiuti radioattivi e della radioprotezione, oltre che della salvaguardia ambientale. Il Parco Tecnologico, che occuperà una superficie di circa 40 ettari, rappresenterà una reale integrazione con il sistema economico e di ricerca, contribuendo ulteriormente allo sviluppo sostenibile del territorio nel quale sorgerà Per realizzare il Deposito Nazionale e Parco Tecnologico è previsto un investimento complessivo di circa 900 milioni di euro. Si stima di costruire il Deposito Nazionale in 4 anni e si prevede, in base agli attuali piani, che la sua entrata in esercizio avvenga entro il 2029.
Quali sono i rischi di vivere vicino ad un deposito di rifiuti radioattivi?
I rifiuti radioattivi non sono né particolarmente pericolosi né difficili da gestire, se confrontati con altri rifiuti tossici prodotti dalle attività umane. La quantità di rifiuti radioattivi è molto piccola rispetto ai rifiuti prodotti da altre attività, come ad esempio dai trasporti, dall’industria pesante e dalla generazione di elettricità da fonti non nucleari. Infrastrutture come il Deposito Nazionale sono la soluzione più sicura per la gestione dei rifiuti radioattivi. Le tecnologie in esso utilizzate sono state ampiamente testate e sono già sfruttate in molti altri paesi. Read More
Siti analoghi al Deposito Nazionale sono stati costruiti in tutto il mondo e si sono rivelati estremamente sicuri. Non si è infatti verificato alcun incidente legato alla fuoriuscita di materiale radioattivo che abbia causato rischio per la salute umana o per l’ambiente, né nella fase di esercizio di tali depositi né durante il trasporto dei materiali radioattivi presso i siti. La sicurezza della struttura è garantita da barriere ingegneristiche e naturali poste in serie: nel caso del deposito italiano sono previste 3 barriere ingegneristiche, in metallo, calcestruzzo e calcestruzzo armato, ed una barriera naturale, costituita da una collinetta artificiale di materiali inerti e impermeabili, che ricoprirà interamente la struttura per conferire un’ulteriore protezione e permettere l’armonizzazione dell’infrastruttura con l’ambiente circostante. La non corretta gestione dei rifiuti radioattivi, al contrario, può comportare dei rischi. A questo proposito, ricordiamo l’incidente di Goiâna, avvenuto nel 1987 in Brasile. Una sorgente radioattiva di cesio-137, utilizzata per trattamenti di radioterapia e lasciata incustodita all’interno di un ospedale abbandonato, venne trafugata. Le conseguenze del furto e poi della vendita di tale sorgente sono considerate da IAEA “uno dei peggiori incidenti radiologici al mondo”: 250 persone furono contaminate in modo grave e 4 morirono a causa dell’esposizione alle radiazioni.
Nel 2018, il Politecnico ha ospitato un seminario sul progetto, la sicurezza e gli aspetti ambientali del Deposito Nazionale italiano.
SCARICA LA PRESENTAZIONE del Dr. Fabio Chiaravalli, Direttore Deposito Nazionale e Parco Tecnologico.
In questo sito potrai trovare tutto quello che c’è da sapere sul deposito nazionale, dalla sua descrizione dettagliata alle modalità di coinvolgimento dell’opinione pubblica nei processi decisionali.
Qui potrai trovare una descrizione, organizzata in schede tematiche, dei vari aspetti connessi allo smaltimento di rifiuti nucleari. Segnaliamo in particolare la scheda “Rifiuti radioattivi: miti e realtà”.
Vari canali di informazione italiani sono tornati ad interessarsi della gestione dell’acqua contaminata della centrale nucleare di Fukushima Daiichi. L’interesse nasce dall’annuncio, fatto nel 2021 dal governo giapponese, sul rilascio nell’Oceano Pacifico dell’acqua radioattiva stoccata presso la centrale nucleare. In questo approfondimento spiegheremo perché questa soluzione non comporti alcun rischio per la salute umana e per l’ecosistema marino. Il rilascio, infatti, verrà eseguito solamente dopo che i livelli di radioattività presenti nell’acqua saranno portati al di sotto dei limiti imposti dalle normative nazionali ed internazionali. Le operazioni inizieranno presumibilmente verso la fine del 2022 e continueranno per diversi anni così da garantire, attraverso la gradualità del rilascio, una ancor maggiore diluizione nell’oceano.
In quali condizioni le radiazioni ionizzanti emesse dai materiali radioattivi sono pericolose per la salute dell’uomo?
Prima di iniziare a parlare dell’acqua di Fukushima, è importante ricordare che le radiazioni ionizzanti emesse dai materiali radioattivi (contenenti cioè dei nuclei radioattivi, anche detti radionuclidi) sono un fenomeno naturale. Siamo costantemente esposti a questo fenomeno, ad esempio attraverso i raggi cosmici o la radiazione prodotta dai radionuclidi naturali. Per avere effetti sulla salute umana è necessario essere esposti ad una data quantità di radiazione in un dato intervallo di tempo. Al di sotto di una certa soglia non è possibile rilevare alcun effetto osservabile. Read More
La radiazione ionizzante (di seguito la chiameremo solo radiazione), per definizione, è in grado di determinare ionizzazione della materia all’interno della quale propaga. Questo processo di ionizzazione è alla base dei possibili danni ai tessuti biologici. Per valutare gli effetti della radiazione sulla salute umana si utilizza una grandezza definita tecnicamente dose efficace, misurata in Sievert (Sv) o nei suoi sottomultipli milli-Sievert (1 mSv = 10-3 Sv) o micro-Sivert (μSv = 10-6 Sv). Al calcolo della dose contribuiscono diverse proprietà della radiazione, come ad esempio l’attività della sorgente radioattiva e la qualità della radiazione emessa. L’attività, espressa in Becquerel (Bq), misura il numero di decadimenti radioattivi nell’unità di tempo. Spesso vengono utilizzati multipli del Bq, come il mega-Becquerel (1 MBq = 106 Bq), il tera-Becquerel (1 TBq = 1012 Bq) o il peta-Becquerel (1 MBq = 1015 Bq). La qualità della radiazione è invece determinata dal tipo di radiazione (alfa, beta, gamma, neutroni, ioni…) e dalla sua energia. Per valutare gli effetti di un’esposizione continuativa nel tempo, come ad esempio quella causata dal rilascio di radioattività in ambiente, si utilizza come grandezza di riferimento la dose efficace in un anno (Sv/anno). Per dare un’idea delle dimensioni di questa grandezza, ricordiamo che la dose efficace che ciascuno di noi riceve a causa del fondo di radiazione naturale è di circa 3 mSv/anno. Questo valore può variare, anche considerevolmente, in base alla regione in cui si vive, alle caratteristiche del terreno e alla quantità e tipologia di radionuclidi presenti naturalmente. Ci sono zone della Terra in cui si superano anche a 100 mSv/anno, come ad esempio alcune zone dell’Iran o del Brasile. In Italia, il fondo di radiazione naturale medio è circa 4 mSv/anno ma anche nel nostro Paese esistono delle zone più radioattive, come ad esempio Piazza San Pietro a Roma o la città di Orvieto, dove si raggiungono valori fino al doppio della media nazionale. In Italia il limite di legge per la dose efficace alla popolazione derivante da attività umane è di 1 mSv/anno: ovvero, le attività umane che utilizzano radiazioni ionizzanti in Italia devono garantire che la dose aggiuntiva che la popolazione riceve a causa della loro attività sia inferiore a tale limite. Da questo limite sono esclusi i trattamenti medici, diagnostici o di terapia: si consideri, ad esempio, che una sola TAC può dare una dose efficace compresa tra 1 e 15 mSv, a seconda della parte del corpo interessata.
Da dove arriva l’acqua radioattiva di Fukushima? E cosa contiene?
L’acqua radioattiva di cui si parla è quella utilizzata per raffreddare i noccioli dei reattori nucleari della centrale di Fukushima Daiichi, danneggiati a seguito dello tsunami dell’11 marzo 2011. A dicembre 2020, la quantità di acqua accumulata era pari a 1.23 milioni di m3. Questa contiene una bassissima quantità di prodotti di fissione (Cesio-137, Cesio-134, Stronzio-90, Iodio-129), in molti casi già inferiore ai limiti di legge, e trizio.
Il continuo raffreddamento dei reattori danneggiati richiede l’utilizzo di ingenti quantità di acqua. Scorrendo a contatto con il combustibile nucleare, l’acqua si “attiva” (diventa radioattiva) attraverso due processi: (1) l’accumulo dei prodotti di fissione presenti nel combustibile. Tramite questo processo l’acqua si contamina con diversi radionuclidi, tra cui i principali sono Cesio-137, Cesio-134, Stronzio-90, Iodio-129; (2) l’attivazione, mediante reazione (D, n) degli stessi nuclei di deuterio che compongono la molecola di acqua. Il deuterio è infatti un isotopo naturale stabile dell’idrogeno (percentuale isotopica: 0.015%) che reagisce con i neutroni prodotti dalle reazioni di fissione generando trizio, un altro isotopo dell’idrogeno, che a differenza del deuterio è però radioattivo.
Qual è la situazione oggi a Fukushima? Dove è conservata l’acqua radioattiva?
Attualmente l’acqua di cui stiamo parlando è stoccata all’interno di cisterne presso il sito della centrale di Fukushima Daiichi. L’acqua stoccata è stata già sottoposta ad un primo processo di filtrazione. Tuttavia, per alcuni radioisotopi, in particolare per il trizio, i livelli di concentrazione risultano ancora superiori ai limiti di legge per poter essere rilasciati in ambiente. Il rilascio di sostanze radioattive in ambiente è consentito dalle normative nazionali ed internazionali purché siano rispettati determinati limiti di concentrazione, espressi in Becquerel al litro (Bq/L). Le normative seguono le linee guida disposte da IAEA (International Atomic Energy Agency), le quali garantiscano la non pericolosità radiologica dell’operazione. Una volta che la concentrazione di radionuclidi sarà portata al di sotto di questi limiti, i progetti del governo giapponese prevedono di procedere con il rilascio in oceano, per fare fronte all’esaurimento della capacità delle cisterne. L’inizio delle operazioni è previsto per la fine del 2022.
Prima di essere stoccata all’interno delle cisterne, l’acqua utilizzata per il raffreddamento dei reattori era già stata parzialmente trattata mediante un processo denominato ALPS (Advanced Liquid Processing System). Questo primo trattamento ha permesso di ridurre la quantità di prodotti di fissione in acqua di circa un milione di volte, riducendo così i livelli di radioattività in prossimità delle cisterne a valori che non comportino rischi per gli operatori della centrale (dose efficace < 1 mSv/anno in prossimità delle cisterne).
In alcune cisterne, nonostante questo primo processo di filtrazione, la concentrazione di radioattività (Bq/L) dovuta ai prodotti di fissione, quali Cesio-137, Cesio-134, Stronzio-90, Iodio-129, non sono ancora compatibili con i limiti di legge per il rilascio dell’acqua in ambiente. Per questo motivo, nel rispetto delle normative nazionali ed internazionali, il processo di depurazione verrà ripetuto per garantire che tutti i prodotti di fissione disciolti siano presenti in concentrazione inferiore al limite di legge.
Il processo ALPS è molto efficace per ridurre i radioisotopi disciolti nell’acqua, ma non è in grado di ridurre il quantitativo di trizio (3H o T). Questo è dovuto al fatto che dal punto di vista chimico il trizio si comporta esattamente come l’idrogeno. All’interno di una molecola di acqua, il trizio tende a sostituirsi ad uno o ad entrambi gli atomi di idrogeno originando la cosiddetta acqua triziata (HTO o T2O). Avendo le stesse caratteristiche chimiche, il processo ALPS non è in grado di separare l’acqua triziata dall’acqua e dunque di ridurre la concentrazione di trizio. Per rientrare nei limiti di concentrazione di trizio previsti dalla normativa giapponese, si diluirà ulteriormente l’acqua prima di rilasciarla in ambiente.
Le due possibilità che sono state vagliate per il processo di rilascio in ambiente dell’acqua sono l’evaporazione in atmosfera e la diluizione e dispersione in oceano: quest’ultima è risultata la più adeguata, in termini sia di impatto ambientale sia di sostenibilità.
Il piano di gestione dell’acqua radioattiva proposto dal governo giapponese, compreso il rilascio controllato in oceano, è stato approvato da IAEA, che lo ha definito in linea con la prassi internazionale, oltre che pienamente realizzabile dal punto di vista tecnico.
Il principale elemento radioattivopresente nelle cisterne di Fukushima è il trizio. Ma che caratteristiche ha questo radionuclide? E quanto trizio è presente nelle cisterne?
Il trizio (3H o T) è un isotopo radioattivo dell’idrogeno, il cui nucleo è composto da un protone e due neutroni, e che decade attraverso il processo β– con un tempo di vita medio pari a 17.7 anni. L’elettrone emesso nel decadimento ha un’energia massima di 18.6 kilo-elettronvolt (keV). Questa energia determina la distanza che la radiazione può percorrere nella materia: un elettrone a 18.6 keV può percorrere di circa 6 mm in aria e pochi micron in acqua. Facendo una stima conservativa, si ottiene che all’interno delle cisterne di Fukushima è presente un solo atomo radioattivo ogni 5000 miliardi. In pratica, meno di 20 grammi di acqua triziata su un totale di più di un miliardo di litri.
Nel processo di decadimento β–, un neutrone del nucleo si trasforma in protone e vengono emessi un elettrone e un anti-neutrino. In questo tipo di processo, dunque, la radiazione ionizzante emessa è un elettrone. Neutrini ed anti-neutrini non sono particelle ionizzanti, in quanto la loro interazione con la materia è minima e non in grado di ionizzarla.
L’elettrone emesso nel decadimento β– del trizio può avere un’energia massima di 18.6 keV. Questa energia determina la distanza che la radiazione può percorrere nella materia (libero cammino medio): un elettrone a 18.6 keV può percorrere circa 6 mm in aria e pochi micron in acqua.
Questo brevissimo libero cammino medio fa sì che il trizio non causi problemi per la salute nel caso in cui si trovi all’esterno del corpo umano: tutti gli elettroni emessi, infatti, sarebbero fermati dal primo strato della pelle. Al contrario, il trizio può avere effetti sulla salute umana in caso di contaminazione interna, ovvero in caso di inalazione, ingestione o assorbimento transcutaneo. Come detto precedentemente, tuttavia, un effetto negativo sulla salute è possibile solo per dosi efficaci sufficientemente elevate.
Per calcolare la quantità di trizio presente nelle cisterne ricordiamo che il volume complessivo di acqua stoccata era di 1.23 milioni di m3 (1.23 miliardi di litri) e la sua attività totale pari a 860 TBq (dati aggiornati a dicembre 2020). La concentrazione di attività è dunque in media circa 0.7 MBq/L.
Supponendo che l’attività sia dovuta interamente al trizio, si ottiene che 860 TBq corrispondono a circa 5 x 1023 atomi di trizio. Questo numero può sembrare molto grande in termini assoluti, ma deve essere confrontato col numero totale di atomi presenti nel volume d’acqua: in un milione di m3 di acqua sono presenti oltre 1035 atomi. In pratica, quindi, gli atomi radioattivi nelle cisterne di Fukushima Daiichi sono circa 1 ogni 5000 miliardi.
Supponendo che tutti gli atomi di trizio siano presenti all’interno di molecole di acqua, si ottiene che in quel miliardo di litri di acqua ci sono meno di 20 grammi di acqua triziata. La radioattività, a differenza di quello che spesso si pensa, è un fenomeno fisico che può essere misurato con estrema precisione e anche le più piccole anomalie possono essere rilevate. Nessuna bilancia sarebbe in grado di misurare una massa con una precisione di 11 cifre decimali.
Spesso si afferma che il rilascio di quest’acqua non impatterebbe solamente sul Giappone, ma anche sull’intero globo. È così? Quant’è la sua radioattività rispetto a quella di origine naturale dell’Oceano Pacifico?
L’acqua delle cisterne contiene un’attività di 860 TBq, mentre la radioattività dell’Oceano Pacifico è più di 8 miliardi di TBq. Il suo rilascio aumenterebbe la radioattività naturale dell’Oceano Pacifico di meno di un milionesimo.
La radioattività dell’Oceano Pacifico, 8 milioni di PBq, è dovuta alla presenza di diversi radionuclidi disciolti nell’acqua.
Il contributo principale a questa radioattività è di natura non antropica, ma naturale. In particolare, il radioisotopo più abbondante è il Potassio-40, che contribuisce con circa 7.4 milioni di PBq. Altri contributi naturali importanti sono dovuti al Rubidio-87 (circa 700mila PBq) e all’Uranio-238 ( 22mila PBq). Il contributo di trizio naturale è di circa 370 PBq.
Per quanto riguarda la radioattività antropica degli oceani, il principale contributo è dovuto ai test per lo sviluppo di bombe nucleari degli anni ’50 e ’60: circa 5000 PBq tra il contributo del Trizio e del Cesio-137. Gli incidenti nucleari di Chernobyl e Fukushima, si stima abbiano avuto un contributo dovuto al Cesio-137 di circa 100 PBq e 50 PBq, rispettivamente. L’acqua delle cisterne, se rilasciata con la concentrazione di attività attuale, comporterebbe un contributo di 0.86 PBq, pari 0.00001% della radioattività naturale dell’Oceano Pacifico.
Quale sarebbe l’effetto del suo sversamento nell’Oceano sull’ambiente e sulla salute della popolazione, in termini di dose efficace?
Come spiegato in precedenza, la radioattività rilasciata sarà minima: meno di un milionesimo rispetto alla radioattività naturale dell’oceano. Per questo non si prevede alcun effetto negativo sull’ambiente o sull’ecosistema marino. Per quanto riguarda l’impatto sulla salute umana, utilizzando il modello di valutazione UNSCEAR (United Nation Scientific Committee on the Effect of Atomic Radiation), si ottiene che la popolazione di Fukushima sarebbe esposta ad una dose efficace aggiuntiva di circa 0.0001 mSv/anno, pari a quella che si ottiene a causa del Potassio-40 ingerendo una banana.
Per calcolare la dose efficace sulla popolazione di Fukushima, ipotizziamo di sovrastimare sia la radioattività dovuta al trizio, sia quella degli altri radionuclidi rispetto a quella realmente contenuta nelle cisterne. Supponiamo che la radioattività presente oggi sia tutta dovuta al trizio ed in più aggiungiamo anche un contributo di radioattività dovuta ai radionuclidi Cs-137, Cs-134, Sr-90 e I-129 come se fossero presenti in tutte le cisterne ad una concentrazione (Bq/L) pari al limite di legge. I radionuclidi scelti sono quelli oggi maggiormente presenti nelle cisterne di acqua. Il Carbonio-14 non è stato considerato in questo calcolo poiché, ad oggi, la sua concentrazione risulta inferiore ai limiti di legge in tutte le cisterne. Con le ipotesi fatte sovrastimiamo sia la radioattività dovuta al trizio, sia quella degli altri radionuclidi rispetto a quella realmente contenuta nelle cisterne. Infatti, questi ultimi verrano ulteriormente ridotti ben al di sotto dei limiti di legge grazie ad una ripetizione del processo ALPS, mentre la concentrazione di trizio verrà ridotta per diluizione, in accordo con i limiti di legge giapponesi e dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Per calcolare la dose utilizziamo il modello di valutazione UNSCEAR che stima la dose individuale dovuta al rilascio in Oceano dell’intero quantitativo di acqua radioattiva ad un rate costante per un anno. Anche questa ipotesi è conservativa, infatti, il piano giapponese prevede il rilascio dell’acqua in 5 anni. Il modello UNSCEAR tiene conto sia della dose da contaminazione interna, dovuta all’ingestione di alimenti contaminati, sia della dose dovuta all’esposizione esterna causata ad esempio da sedimenti di sabbia contaminata. La stima calcola una dose efficace pari a circa 0.0001 mSv/anno, ovvero: circa 10mila volte più piccola della dose associabile ad una TAC o al fondo ambientale giapponese (2.1 mSv/anno).
… sostenibilità
La sostenibilità del nucleare, dal punto di vista ambientale. Ecco alcuni utili contributi, per l’informazione e per la discussione.
Se ne è parlato anche in occasione delle ultime due COP (Conference of Parties) delle Nazioni Unite, COP25 Madrid e COP26 Glasgow.
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